Nell’articolo sui fondamentali della link building, ti ho parlato di cos’è questa tattica SEO e perché è cosi importante in una strategia di ottimizzazione per i motori di ricerca efficace. E ti ho promesso che avremmo dato uno sguardo più approfondito alle tipologie di link da conoscere per l’ottimizzazione sui motori di ricerca.
Questo post nasce quindi con l’obiettivo di darti una panoramica dei differenti attributi che possono essere forniti a un link. É molto importante che tu li conosca per due motivi:
- devi capire come gestire i link che escono dal tuo sito e occupartene appropriatamente;
- devi essere consapevole di cosa stai comprando, quando sei alla ricerca di link per incrementare l’autorevolezza del tuo sito web.
Gli attributi dei link forniscono infatti importanti informazioni per il crawler che scansiona le pagine web ed è meglio tu sappia esattamente cosa stiano comunicando.
Cos’è un link: le tipologie primarie nella SEO
Un link, hyperlink o collegamento ipertestuale, è un collegamento fra due indirizzi web. Due pagine, se vogliamo semplificare. Puoi immaginarlo come una sorta di ponte, che sposta l’utente e il crawler dei motori di ricerca da una pagina all’altra.
Nonostante tutti i link siano “in natura” pressoché uguali e svolgano lo stesso lavoro (ovvero quello di far passare chi lo clicca da un contenuto all’altro), quando si parla di SEO si tende a dividerli in tre macrocategorie principali: link interni, link esterni e backlink.
Link interni
Si parla di link interni in riferimento ai link che collegano pagine appartenenti allo stesso dominio. Ad esempio, all’inizio di questo post trovi un link interno verso un altro contenuto del mio blog, quello che parla di cos’è la link building. Sono molto importanti, fra le altre cose, per permettere una corretta circolazione di Page Rank fra le pagine di un sito, segnalare ai motori di ricerca i contenuti più importanti da visitare e indirizzare l’utente e i crawler in profondità per la scoperta di tutte le pagine del sito stesso.
Link esterni
Si fa riferimento ai link esterni parlando dei link che da dentro un dominio puntano (quindi indirizzano l’utente o il crawler) verso una pagina di un dominio esterno o di un sottodominio. Ad esempio, se io inserisco un link in questa pagina verso un contenuto di un altro SEO, di un’agenzia o di Wikipedia, sto creando un link esterno.
Sono molto importanti quando vuoi approfondire l’argomento che stai trattando, fornendo dati aggiuntivi da fonti autorevoli strettamente legate all’argomento della tua pagina.
Backlink
Si parla invece di backlink quando si guarda un link esterno dal punto di vista del destinatario del link. Rimanendo nell’esempio del punto precedente, se io link un altro consulente, un’agenzia o Wikipedia sto fornendo loro un backlink (che, dalla mia ottica, è un link esterno).
I backlink, come avrai già capito, sono la base di una strategia di link building.
In principio fu il rel=”nofollow”
Tutto chiaro fin qui? Bene, perché se pensi che questo sia complesso da comprendere, quello che arriverà dopo potrebbe farti letteralmente cadere dalla sedia. Ma non spaventarti: sono davvero i ferri del mestiere per qualsiasi consulente SEO e, con un po’ di esercizio, diventeranno anche per te come pane quotidiano.
Quando parlo di attributo faccio riferimento a una sorta di “informazione aggiuntiva” che di cui puoi dotare un link. Questo perché, seppure nascano tutti uguali, i link possono (secondo alcuni devono) differenziarsi a seconda dell’utilizzo che ne fai. E questa “informazione” deve essere trasmessa ai crawler che scansionano i contenuti del web, identificando riga per riga gli eventuali link interni o esterni.
Attenzione: gli attributi sono qualcosa che un utente non vede (a meno che non abbia la curiosità di ispezionare la pagina e guardare il codice html del link… insomma, improbabile). Sono uno strumento nato quasi esclusivamente per i motori di ricerca e, anche in questo caso, c’è lo zampino del solito Google.
Il primo attributo a comparire nel web fu il famigerato nofollow. Il rel=”nofollow” fornisce un indicazione importante ai bot dei motori di ricerca, che potrebbe suonare grosso modo così: “ok crawler, segui pure quel link ma sappi che non è un “voto” che fornisco alla pagina di destinazione“.
Lato Html, il nofollow si inserisce così:
<a href=”https://www.sito.it/ rel=”nofollow”>Anchor text</a>
Di fatto, il rel nofollow serve per prevenire il passaggio di Page Rank dalla pagina che linka a quella target, oltre a cercare di scoraggiare il crawler dall’effettuare ulteriori scansioni reputando la pagina linkata come rilevante. É una richiesta che viene fatta al crawler che, tuttavia, non è obbligato a seguirla ma può ignorarla.
Questo non rende il link inutile, ovviamente. Stando però alle fonti ufficiali, il nofollow dovrebbe “scaricare” un po’ il link del suo valore puro.
Ce lo segnala Google nella sua guida agli attributi dei link, che trovi qui.
[…] preferisci che Google non associ il tuo sito alla pagina collegata o che non esegua la scansione di tale pagina dal tuo sito.[…]
Da Google Search Central
Come ti anticipavo, il nofollow fu introdotto ufficialmente 2005, come soluzione “preventiva” per chi gestiva blog, forum o testate, e permetteva commenti da parte degli utenti.
Sai bene ormai che un link verso il tuo sito è un’arma potente. Agli albori del World Wide Web, Internet pullulava di forum e piattaforme simili, in cui il contenuto generato dall’utente (segnati questa espressione riportata in grassetto, ti servirà più avanti) proliferava sotto forma di post, commenti e simili. I SEO, capito il giochino del Page Rank (come prima, se non sai di cosa sto parlando puoi leggere il post sui sistemi di ranking di Google o il già citato contenuto dell’introduzione alla link building), hanno letteralmente inondato le piattaforme di link verso i loro siti, i siti dei clienti, i siti dei loro progetti di affiliazione e via dicendo. Un modo all’epoca semplice, veloce e gratuito per ottenere backlink.
Puoi facilmente immaginare come questa aggressiva tecnica di link building (o forse, per meglio dire, SPAM) creasse non pochi grattacapi a un motore di ricerca che basava la maggior parte della sua efficacia sul link inteso come criterio di valutazione.
Con il rel nofollow, i webmaster hanno ricevuto un’arma per far sì che i loro siti non fossero dei veri e propri colabrodo di Page Rank e che le tattiche di link spam avessero un certo freno.
Il rel nofollow è tutt’ora ampiamente utilizzato nei siti web in molti modi che, ti sorprenderà, non comprendono soltanto i backlink. Vediamone un paio.
Come e perché usare il rel “nofollow” nella link building
Come sempre, un avviso: entriamo nell’ambito delle “sfere di pensiero”. Lo scopo del rel nofollow, ovvero quello che ti ho descritto finora, è piuttosto certo – per quanto sia possibile avere certezze attraverso le informazioni sibilline dei motori di ricerca. Il suo utilizzo, di contro, è molto, molto soggettivo.
Se parliamo di baclink o link esterni, è chiaro che il rel nofollow ha lo scopo di bloccare il passaggio di Page Rank dalla pagina di partenza a quella di arrivo, “svalutando” in un certo qual modo il link (per chi lo riceve) e mettendo al riparo il sito che linka da una valutazione negativa come link farm (ovvero siti nati apposta per generare backlink, pratica ovviamente in contrasto con le linee guida di Google e direi di tutti i motori di ricerca universalmente noti).
Ciò non significa che un link nofollow sia inutile. Giusto per darti un esempio: immagina un link nella home page della Repubblica (se fai news), di html.it (se fai tech) o di Giallo Zafferano (se fai ricette). Penseresti mai sarebbe inutile? Certo che no!
- che botta di Brand sarebbe farsi vedere dagli utenti e dai crawler nell’homepage di un sito web così autorevole e in linea con noi?
- se il contenuto fosse fatto bene e la strategia di atterraggio giust, quanti utenti potresti ottenere?
Anche parlando di siti meno autorevoli, l’importanza di seminare briciole che rimandino il crawler al nostro sito è assolutamente da non sottovalutare. Se è vero che un rel nofollow “impedisce” il passaggio di valora da una pagina a ad una pagina b, è anche vero che essere citati (quindi con link) o menzionati (quindi anche senza link) in pagine di siti web in target con noi, sicuramente male non fa.
Usare il nofollow nel tuo sito
L’importanza del rel nofollow, però, non si esaurisce soltanto in ottica Link Building. Anche la gestione dei link interni può essere ampiamente ottimizzata attraverso questo attributo.
Partendo dal presupposto che con un nofollow chiediamo al crawler di non seguire un link, ci sono almeno tre casi in cui ha senso usarlo internamente:
- le pagine dinamiche, ovvero l’insieme di pagine che si generano per fornire informazioni all’utente ma che non sono necessariamente determinanti per il motore di ricerca. Prendi ad esempio i filtri negli e-commerce (ne ho parlato nel post sulla SEO On Site!), ma anche l’ordinamento dei post in un blog. Di norma, quelle pagine sono in noindex (o in disallow, se hai avuto la corretta idea di escluderli prima che il sito venisse scansionato. Può essere un’ottima idea, allora, inserire il rel nofollow sui link che le generano per non invitare il crawler a scansionarle. Tanto, se non devono andare in indice, perché dovrebbe prestargli attenzione?
- le pagine inutili sono quelle pagine che sei costretto a mettere in un sito web. Penso a contenuti obbligatori, come la privacy policy, la cookie policy o i termini e condizioni, ad esempio. Inutili ovviamente ai fini SEO, ma imprescindibili per altri motivi (legali, per lo più). Ebbene, queste pagine dove sono generalmente inserite? Nel footer! E cosa succede alle pagine nel footer? Vengono linkate da tutte le pagine del sito. Vogliamo davvero mandare il crawler in continuazione in queste pagine o trasmettere loro Page Rank? Ovviamente, no. E allora via di nofollow! É meglio che sia tu a scegliere a quali pagine il crawler dia importante, piuttosto che lui.
- per lo user generated content, ovvero per lo scopo originale per cui fu creato il rel nofollow. Se dai la possibilità ai commenti di lasciare commenti, feedback o qualsiasi input, e questi input possono contenere un link, imposta automaticamente sui contenuti UGC un rel nofollow, così da scaricare la tua “reponsabilità” sui link stessi. Per lo user generated content, negli anni, è stato implementato un rel apposito (che vedremo fra poco). Ma anche il nofollow è una soluzione più che accettabile.
L’introduzione dei rel “UGC” e “sponsored”
Introdotti nel 2020 da Google, gli attributi UGC (che sta per User Generated Content) e sponsored si aggiungono alla trinità di attributi con cui è possibile etichettare i link. Di fatto forniscono ulteriori più specifiche rispetto alla genericità del nofollow e, già dal nome, si capisce piuttosto bene come dovrebbero essere usati. Almeno, come Google vorrebbe lo fossero.
L’obiettivo dichiarato dei rel UGC e sponsored è infatti quello di “rendere idonei i link per Google” (l’espressione è una citazione dal titolo del post dedicato su Google Search Central, che trovi qui).
Molto più probabilmente, il motivo per cui Google ha incrementato questi ulteriori attributi è riuscire ad ottenere una maggiore comprensione dei link, così cari ai suoi sistemi di ranking. A breve approfondiamo, nei due paragrafi dedicati.
rel=”UGC”
L’attributo rel=”ugc” serve a segnalare che il link è stato creato da un utente e non è da ritenersi come “responsabilità” del proprietario del sito.
Si scrive cosi:
<a href=”https://www.sito.it/ rel=”ugc”>Anchor text</a>
Può essere considerato un’evoluzione del nofollow originariamente creato per i commenti nei blog e nei forum, più specifico ma comunque intercambiabile. Tanto che è lo stesso Google, nell’articolo dedicato agli attributi dei link interni, a segnalare che non è necessario modificare i rel nofollow in UGC qualora i primi fossero impostati su un sito web per segnalare contenuti generati dagli utenti.
A mio parere, il rel UGC aveva un ruolo molto più specifico nei piani di Google: comprendere il comportamento degli utenti sui Social Network, tradizionalmente impostati come nofollow.
Beh, non ha funzionato granché 🤷🏻 Se dai uno sguardo ai link in uscita ad esempio da Facebook, noterai facilmente che l’attributo impostato è tuttora il nofollow.
Dovresti usare il rel UGC?
Che dire: a mio parere non cambia molto se, per tutti i casi di contenuti generati da utenti e non sotto il tuo controllo, usi il rel nofollow o UGC. Ho gestito parecchi siti che trattavano i link da commenti come nofollow e me ne sono capitati anche alcuni che utilizzavano l’attributo user generated content. Sinceramente non ho notato grandissime differenze.
Diciamo che se hai creato o stai creando un nuovo sito, potresti valutare di implementare il rel UGC per tutti i contenuti che non controlli direttamente, ma che sono in mano ai tuoi utenti.
Se un sito lo hai già, ha uno storico e un suo pubblico, non starei nemmeno a modificare i nofollow con gli UGC. Sicuramente hai altre priorità.
Ecco, una nota importante: uno dei due, magari, impostalo!
rel=”sponsored”
Se fai già SEO, dovresti avere intuito qual è il ruolo dell’attributo rel=”sponsored”. Sponsored = sponsorizzato/a pagamento.
Si scrive così:
<a href=”https://www.sito.it/ rel=”sponsored”>Anchor text</a>
Il rel Sponsored è probabilmente stato pensato per meglio comprendere tutti quei link che “nascondono” una trattativa commerciale. Non parlo in questo caso solo di attività di link building, ma anche e soprattutto a tutto il mondo del display advertising, native advertising e via dicendo.
Come puoi vedere, l’homepage di Repubblica.it (come quelle di tutte le testate, i blog e i magazine online) è satura di pubblicita. Banner, video o semplici popup che rimandano con un link verso i contenuti dell’inserzionista.
Tecnicamente, Google vorrebbe che a ciascuno di quei link fosse attribuito un rel=”sponsored”, per segnalare che la citazione è dovuta non al merito, ma ad una legittima trattativa commerciale.
Il che, ovviamente, cambia le cose. Per l’algoritmo sapere che un link è stato pagato porta “considerazioni” differenti, che sottraggono (o almeno limitano) la portata qualitativa del link. Il condizionale è ovviamente d’obbligo, perché la verità dei fatti è che nessuno può dirti quanto pesa un link sponsored.
Quel che è certo è che, dichiarando esplicitamente che vendi spazi pubblicitari, come publisher (quindi come proprietario del sito che linka) usando il rel sponsored dovresti riuscire a ripararti da azioni che potrebbero etichettare il tuo sito come spam.
Cosa facciamo con questi rel sponsored?
Vado molto diretto.
Se sei un publisher che vende media kit di advertising, io lo inserirei in ogni link che punta verso il sito di un inserzionista. Fine del discorso. Non c’è niente di male nel fare “cartellonistica digitale” nei casi di siti che generano molto traffico o sono molto autorevoli. Però, in questi casi, è bene segnalare al motore di ricerca che, per l’appunto, stai vendendo spazi pubblicitari.
Se andiamo alla link building, il discorso di complica leggermente.
Se stai valutando di far uscire link con attributo sponsored dal tuo sito posso capirti. Il rischio di essere “punito” da Google per eccessivo external linking è reale. Però, l’unico consiglio che mi sento di darti (da consulente SEO) è questo: avvisa il tuo cliente. Il valore di un link sponsored è, a mio avviso, diluito rispetto a un link puro ed è giusto che chi ti paghi sappia cosa sta comprando.
Se stai “cercando backlink”, vale il discorso opposto. Informati sempre se il link che stai valutando ha qualche attributo e valuta di conseguenza. Tieni presente che, come per il nofollow, anche per lo sponsored vale lo stesso ragionamento: non è detto che l’attributo renda il link inutile. Tutt’altro.
Se comp… scusa, se acquisisci un link sponsored non significa che sei un malfattore che vuole manipolare l’algoritmo ma, semplicemente, che stai comprando pubblicità. Puoi tranquillamente valutare di inserire link con questo attributo nella tua strategia globale di link building (con anche le stesse considerazioni in termini di visibilità già trattate nella sezione nofollow).
E i link dofollow?
Semplice: non esistono!
Tutti i link che non hanno attributi sono “dofollow” o “follow”. Non è particolarmente importante che tu sappia che un link è in sé “follow”, se non per metterti al riparo dalla permalosità di alcuni nostri colleghi, che quando sentono parlare di “link follow” vanno in escandescenze.
Sappi che “follow” e “dofollow” sono termini ridondanti, e tanto basta.
Conclusioni
Beh, direi che siamo giunti al termine di questa panoramica sugli attributi dei link e le loro tipologie. Spero che questo articolo abbia sciolto un po’ dei tuoi dubbi a riguardo.
Ci tengo a chiudere con un’ultima considerazione: usa sempre la testa. I link sono un’arma potente per la SEO e vanno utilizzati con attenzione e raziocinio, sia nelle strategie di internal linking, sia nelle attività di link building.
Se hai dubbi o considerazioni, vai coi commenti!