In un flusso di lavoro SEO, l’analisi del Search Intent è l’attività posta subito dopo la ricerca di parole chiave (o keyword research). Se in questa lo scopo è trovare la quantità (intesa come volumi di ricerca e numero di correlazione esistenti fra termini), analizzare le intenzioni di ricerca è rivolgersi alla qualità dell’informazione da fornire in risposta a un determinato set di parole chiave. Qualità non intesa soltanto come valore intrinseco di utilità per l’utente (di quello ho parlato nell’articolo sull’Helpful Content System di Google). Che il contenuto deve essere utile è talmente ovvio che ribadirlo suona ridondante.
Quando si analizza si determina in linea di massima cosa dire, come dirlo e, in ultima analisi, a chi parlare.
Tra tutte le tematiche del panorama SEO, il Search Intent è di gran lunga l’argomento di cui più mi piace parlare e scrivere. Le intenzioni di ricerca sono qualcosa di versatile, variegato e multiforme, e mi danno sempre la possibilità di spiegarle con parole, concetti e immagini differenti.
In questo contenuto, come mia abitudine, cercherò di fornire delle informazioni teoriche sulle intenzioni di ricerca accompagnandole volta per volta con esempi pratici e considerazioni personali. L’obiettivo è quello di darti una panoramica quanto più esaustiva possibile, con la consapevolezza aprioristica che coprire tutte le casistiche esistenti è impossibile: quello che tento di darti è un metodo efficace per analizzare l’intento di ricerca degli utenti e ideare strategie fruttuose nel tuo lavoro di SEO.
Partiamo con la base teorica.
Cos’è il Search Intent: definizione, significato e a cosa serve la sua analisi
La mia personalissima definizione di Search Intent è questa:
“Il Search Intent è l’obiettivo di ricerca dell’utente, identificabile come un desiderio, una necessità o qualsiasi stimolo lo spinga all’azione di ricerca. Analizzare il Search Intent significa tentare di comprendere i suoi elementi principali, ovvero l’obiettivo implicito dietro una query di ricerca, la comunione di obiettivo fra query di ricerca differenti e il grado di consapevolezza degli utenti sul Topic espresso dalla query di ricerca.
La sintesi di questi tre fattori rappresenta l’intenzione di ricerca media dell’utente.
Quando parlo di obiettivo, mi riferisco a un insieme di elementi: che tipo di informazione cerca l’utente che digita la query “consulenza seo”? Vuole acquistare un servizio o vuole sapere come funziona? O entrambe le cose? E quanti di coloro che cercano questa query (circa 4400 persone medie ogni mese, dall’ultima keyword research che ho fatto in merito) voglio solo l’una, solo l’altra o entrambe le cose?
Ci torneremo, ovviamente. Stiamo grattando la patina dorata in superficie, ma una volta messa tutta da una parte ci armeremo di lente di ingrandimento per controllare cosa si nasconde sotto di essa.
Quando parlo di comunione, aggiungo un ulteriore tassello. Chi cerca “consulenZA seo” ha lo stesso obiettivo di chi cerca “consulenTE seo”? Si, no? Entrambe le risposte sono valide? Bene, allora come diavolo gestisco le due parole chiave e tutte le correlate che ho trovato? Devo fare un contenuto per ciascuna? Utilizzarle come sinonimi all’interno di un unico contenuto?
Bel delirio, eh? Ma non preoccuparti… peggiora.
Il grado di consapevolezza è la classica ciliegina sulla torta. Quanto è “educato” l’utente che cerca “consulenza seo”? È un utente, nel contesto dei servizi del digital marketing, pronto alla conversione? Oppure è un utente che sta cercando di capire se una consulenza SEO può servirgli o meno? E anche in questo caso, quanti dei 4400 utenti che cercano mensilmente questa parola vogliono l’uno piuttosto che l’altro? E come faccio a capire a quale dei due devo puntare, e con che contenuto?
Bene, le domande sono “terminate” (si fa per dire, ovviamente, ma possiamo chiudere qui l’informata di interrogativi più pressanti). È il momento di passare a qualche risposta.
Come sempre, tengo a sottolineare a te che leggi che quello che ti presento in questi contenuti sono dati estratti un po’ dalle scarne indicazioni fornite da Google nei suoi documenti o tra le dichiarazioni rilasciate dai suoi portavoce, un po’ da test e strategie applicate ai miei progetti personali e ai progetti su cui ho collaborato nell’ultima decade di attività.
Sta a te valutare, una volta formato se sei alle prime armi, o sulla base della tua esperienza se sei un SEO Senior, cosa provare e quando farlo.
Il mio primo incontro con il Search Intent
Disclaimer: quella che segue è un’esperienza personale. Ciò significa che potrebbe non interessarti, per quanto io la ritenga in un certo senso illuminante 🙂 Saltala pure e passa direttamente al paragrafo successivo, se pensi non ti serva leggerla. Non dovrebbe pregiudicare la comprensione del resto dell’articolo!
La prima volta che ho approcciato le intenzioni di ricerca in un’attività SEO era il lontano 2013. Credo che all’epoca il termine Search Intent non fosse nemmeno conosciuto o utilizzato (ma su questo potrei tranquillamente sbagliare, non ho ricordi in tal senso e non ho voglia di mettermi a cercare su Google!). Io di certo non lo conoscevo, ma lo incrociai per quello che possiamo definire pure buon senso.
Lavoravo nell’agenzia di Roma in cui ho iniziato ad occuparmi di ottimizzazione per i motori di ricerca e, fra i nostri clienti, c’era un’officina che riparava, manuteneva e vendeva auto e moto. Come tante delle officine presenti sul territorio, offriva praticamente tutti i servizi che possono servire al possessore di un veicolo su due o quattro ruote (tagliandi, revisioni, riparazioni e simili) e gestiva anche un discreto giro di auto nuove e usate.
Insomma, una realtà piuttosto conosciuta localmente che, oltretutto, figurava (e figura tuttora) fra i rivenditori autorizzati di uno dei marchi più commerciali di auto e moto nel panorama Globale.
E, te lo giuro, aveva un sito che faceva acqua da tutte le parti. Tantissime problematiche tecniche, orrori di esperienza di navigazione e nessun tipo di approccio, né strategico né operativo, ai motori di ricerca.
Oltretutto era costruito con la logica che, sempre all’epoca, andava molto di moda: quella di farcire l’homepage di tutte le informazioni legate ai servizi e ai prodotti del Brand, presentando un sito per cui di fatto poteva bastare la semplice pagina principale. C’erano poi le due classiche pagine, per servizi e per il “catalogo” delle auto da acquistare. I contatti e non ricordo altro (probabilmente nulla di utile ai fini di questa dissertazione).
Non faceva traffico da motore di ricerca, non generava posizionamenti nelle SERP, niente di nulla, zero, nada.
Ci ingaggiarono per il restyling del sito e per cercare di ottimizzarlo per i motori di ricerca, così da raggiungere qualche risultato in termini di traffico e di generazione contatti.
Partii dal classico lavoro SEO: intervista al cliente, identificazione dei servizi offerti, keyword research. E, quando avevo davanti il mio bel listone di parole chiave (rigorosamente geolocalizzate, data la natura del cliente), cominciai a vedere un po’ come si comportavano i competitor nelle pagine dei risultati di ricerca.
Mi ricordo che un dettaglio mi catturò istintivamente: cercando termini come “revisione auto roma” o “tagliando auto roma”, praticamente tutti i siti di officine, carrozzerie e concessionarie rispondevano con l’homepage del sito o, al più, con una gargantuesca pagina di “servizi”. Navigandoli, mi rendevo conto che l’impresa che l’utente doveva compiere per arrivare a sapere qualcosa di più di cosa avrebbe fatto l’officina in questione era titanica.
Era qualcosa del genere:
- clicca sulla home dalla SERP
- aspetta il caricamento
- skippa il video in Flash
- “da dove ca*** viene ‘sta musica di fondo?”
- trova il menu
- clicca
- aspetta il caricamento delle voci
- clicca sui servizi
- aspetta che la pagina carichi
- cerca in quel contenuto lunghissimo le informazioni che ti servono
- … e ora come li contatto?
E questo navigando da desktop. Nel 2013 il mobile friendly era un’utopia. Quindi, nel rispetto di tutti gli utenti caduti nel tentativo di prenotare il tagliando dell’auto da uno smartphone, eviterò di riepilogare la loro sequenza di azioni.
Immagino che tu capisca già da te qual è stata la cosa che mi ha istintivamente colpito: per quale motivo dovrei costringere l’utente a una vera e propria cerca, quando posso destinare un contenuto all’esatto servizio che sta cercando? Ipotizzai che l’utente medio che cerca il “tagliando auto a roma” o un “tagliano auto roma economico”, potesse essere molto più soddisfatto di finire in una pagina in cui il servizio veniva presentato nei modi, i tempi e i costi in cui sarebbe stato svolto.
Ovviamente non avevo molte evidenze in SERP perché, come ti dicevo poco sopra, i siti erano praticamente tutti a profondità zero. Potevo scegliere: seguire la massa e creare un sito da tre pagine, zeppo di testi e carico di parole chiave (e di link), oppure provare a differenziarmi e vedere se con il buon senso applicato all’analisi potevo ottenere un vantaggio competitivo.
Seguii la seconda strada (è un’abitudine che ho perpetrato negli anni, tra l’altro) e chiesi al mio sviluppatore di creare una certa quantità di pagine, basata su un certo numero di obiettivi che attribuivo agli utenti. Laddove, interrogando con SERP specifiche, trovavo almeno UN contenuto verticale, facevo creare una pagina. Quando la pagina “usciva” nei risultati per termini simili (vedi “tagliando auto roma” e “tagliando auto economico roma”, di cui ti accennavo poco fa), le integravo nel contenuto trattando entrambi gli argomenti.
Il risultato fu probabilmente il primo dei miei traguardi: dopo nemmeno una settimana dalla pubblicazione, il sito letteralmente esplose. Non soltanto perché occupò la posizione dominante di tutte le SERP prese in considerazione. Il fattore analitico che mi soddisfò di più fu il miglioramento delle metriche qualitative riportato dalle pagine e, soprattutto, la quantità e la qualità dei Lead che il cliente prese a ricevere da motore di ricerca.
I clienti trovavano soddisfacente finire su una pagina in cui la loro necessità era presentata e risolta in modo chiaro, inequivocabile ed esaustivo. Sicuramente il Brand era già noto e forte, e questo ha contribuito al successo del progetto. Ma sono fermamente convinto che lavorare sulla soddisfazione dell’utente a partire dal suo percorso sui motori di ricerca sia stato determinante per raggiungere il risultato.
E credo, ancora oggi, che sia il fondamento su cui dovrebbe basarsi l’ottimizzazione per i motori di ricerca.
Come analizzare il Search Intent
Dopo la passeggiata sul viale dei ricordi, torniamo alla metodologia di analisi delle intenzioni di ricerca. Riprendo le fila del discorso dai 3 elementi che ho citato nella definizione: obiettivo, comunione, grado di consapevolezza.
Li descriverò un po’ meglio e ti fornirò per ognuno di essi il mio metodo di analisi, con screenshot, esempi prelevati dalle SERP e dati prelevati dalla mia esperienza diretta. Prometto che cercherò di limitare gli aneddoti!
Pronti-via: partiamo dall’obiettivo.
Fase 1. Comprendere gli obiettivi di ricerca degli utenti
Generalmente, il primo approccio alla comprensione degli obiettivi di ricerca è capire in quale tipologia rientra la query che si analizza. Una sorta di obiettivo primario, che può suggerirti qual è potenzialmente la migliore tipologia di contenuto da offrire in risposta a una parola chiave.
Di norma si riconoscono quattro macro intenti di ricerca:
- informativo
- transazionale
- navigazionale
- local
A ciascuno corrisponde una (più o meno) specifica tipologia di SERP, con features dedicate e caratteristiche spesso ben distinguibili. Analizziamole velocemente più nel dettaglio.
SERP dal Search Intent informativo
Sono quelle pagine dei risultati di ricerca in cui dominano contenuti informativi o pseudo-tali. Rispondono in maniera chiara a domande che pongono obiettivi come sapere qualcosa, imparare a fare qualcosa, conoscere il funzionamento di qualcosa.
Un esempio di query che genera una SERP informativa potrebbe essere la stessa per cui cercherò di mostrare questo traffico agli utenti di Google: “search intent”. Oppure “cos’è il search intent”, se vogliamo andare un po’ più nello specifico.
Come puoi vedere, in questa SERP sono presenti esclusivamente risultati di stampo informativo o educational. Tra l’altro, trovi anche il post che ho scritto sul blog di Studio Samo per spiegare ai suoi studenti come analizzare le intenzioni di ricerca!
Non sono soltanto le pagine nel ranking di Google a suggerirti che questa SERP è per chi vuole informazioni. Se ci fai caso:
- non sono presenti inserzioni pubblicitarie di alcun tipo;
- le prime tab che compaiono sotto la barra di ricerca (“immagini”, “video”) suggeriscono fonti di informazione e non di conversione (la tab “shopping”, ad esempio, è molto più spostata a destra);
- molto spesso, per questo tipo di SERP, Google mostra il suo Knowledge Graph per fornire una sintesi di informazioni legate a quanto richiesto;
- le correlate sono quasi esclusivamente legate ad approfondimenti sulla domanda posta.
Quello che ti ho mostrato è ovviamente un modello. Purtroppo le SERP non sono sempre tanto limpide da permetterti di fare degli elenchi nettamente distinti fra informativo e transazionale.
SERP con intent info-transazionale o di indagine commerciale
Un esempio sono le SERP info-transazionali o di indagine commerciale, generata da query che esplicitano un’intenzione informativa ma sottintendono uno scopo finale legato alla conversione. Fanno parte di questo esempio query che aggiungono un modificatore di keyword come, ad esempio, “migliore” (se non ricordi cosa intendo per “modificatore”, trovi i riferimenti nel post sulla ricerca di parole chiave).
Se apri una qualsiasi SERP generata da una parola chiave accoppiata al termine “migliore” troverai di tutto: guide su come scegliere il “migliore qualcosa“, ecommerce che vendono i “migliori qualcosa“, siti di affiliazione con le loro onnipresenti “classifiche dei migliori qualcosa” e via dicendo.
Sono SERP ibride, in cui fondamentalmente le intenzioni di ricerca sono molteplici. Probabilmente, se trovi 3 ecommerce, 3 post blog e 3 siti di affiliazione, al momento gli slot di quella SERP prevedono quelle tre tipologie di contenuto per cercare di posizionarsi. Se ne hai trovato un quarto, sta a te scegliere se cercare di “aprire una nuova via” o se è più conveniente superare uno dei 3 che occupa uno slot che ti interessa.
SERP con Search Intent transazionale
Quando parlo di SERP con intent transazionale faccio riferimento a tutte quelle pagine dei risultati di ricerca in cui a dominare sono i contenuti che permettono all’utente di performare una conversione.
Con conversione si intende una qualsiasi azione porti un risultato tangibile: può essere una vendita, la generazione di un lead, l’iscrizione a una newsletter e via dicendo. Se cerchi “orecchini anallergici online” ti renderai conto che la SERP è costruita da Google appositamente per soddisfare utenti che palesemente vogliono acquistare quel prodotto online.
Cosa noti in questa SERP? Analizziamola insieme:
- annunci Google Ads Search ovunque (ti garantisco che sono anche nel fondo della pagina);
- presenza massiccia di Google Shopping;
- rivalutazione della disposizione delle tab sotto la barra di ricerca (la prima tab è ovviamente “shopping”, seguita da “immagini”. “Video” e “notizie” sono scivolati molto più a destra);
- ricerche correlate che presentano termini esplicitamente legati alla vendita, come “shop”.
In questo caso, è evidente come per quella specifica parola chiave sia necessario un contenuto orientato alla vendita, per soddisfare a pieno l’intenzione dell’utente.
SERP con Search Intent navigazionale
Queste SERP sono quelle che tutti vorremmo avere. Potresti quasi considerarle come uno dei maggiori plus di un Brand quando si presenta sui motori di ricerca.
Le SERP navigazionali sono quelle generate dall’utilizzo di parole chiave che includono un Brand o l’indirizzo/URL del sito che l’utente vuole raggiungere per l’informazione da ottenere o il prodotto/servizio da richiedere. Un esempio potrebbe essere la query “ricette carbonara giallozafferano” o “iphone 14 amazon”
Al di là del piccolo box di Google News e di Google Shopping, è evidente che l’utente che associa il nome del prodotto “iphone 14” al brand Amazon abbia l’intenzione di comprarlo su amazon.it.
SERP navigazionali vs SERP transazionali: attenzione ai malintesi
Mettiamo il caso che tu debba lavorare su un ecommerce di articoli sportivi e, a un certo punto della tua keyword research, ti imbatti nella parola chiave “scarpe da basket adidas”. É transazionale o navigazionale?
Vediamolo insieme.
Da un lato, sicuramente in questa SERP mancano le ads di Google Search e Google Shopping. Dall’alto, però, non c’è una dominazione assoluta dello shop di Adidas, che farebbe presupporre una SERP navigazionale.
Anche in questo caso, probabilmente il Search Intent è misto: una parte degli utenti cerca probabilmente scarpe da basket di marca Adidas, ed è disposta ad accettare risultati anche diversi dal sito del Brand. Dall’altra, complice anche la massima autorevolezza possibile, il sito Adidas risulta comunque in posizione dominante all’inizio della SERP (primo e secondo risultato).
Se non sei Adidas, a mio parere questa è una SERP in cui essere, consapevole del fatto che probabilmente molti utenti non andranno oltre i risultati proprietari del Brand in questione.
SERP con Search Intent local
Identificare una SERP in cui gli utenti hanno un obiettivo locale può sembrare banale e per certi versi lo è. Ma attenzione a distinguere elementi di Local SEO con i risultati local nella SERP.
Mi spiego meglio con un esempio. Diciamo che io voglia acquistare dei mobili. Ho da poco comprato casa e ora devo arredarla. Non ho ancora nemmeno pensato se voglio un ecommerce o un negozio nelle vicinanze; so soltanto che ho bisogno di soluzioni di arredo.
Potrei cercare qualcosa come “negozio di arredamento”, giusto? Ebbene, questa la SERP.
Il grosso box che vedi in alto è chiamato Local Pack ed è fortemente influenzato dalla localizzazione dell’utente. In questo caso, io sto cercando da Bologna, quindi Google mi mostra come prima cosa i negozi di mobili nella mia zona (o in quella che crede essere la mia zona. La geolocalizzazione non è sempre accuratissima).
Di cosa devo però accertarmi, per essere sicuro che questa SERP sia considerabile effettivamente come locale? Ricorda, io non ho scritto “negozio mobili bologna“. Non c’è nessun’indicazione esplicita che io voglia uno store fisico nelle vicinanze.
Semplice: che anche nella SERP siano privilegiati risultati che hanno una qualche attinenza con la realtà geografica di chi ha cercato.
Sono tutti negozi che, pur prevedendo la vendita online, hanno una sede fisica vicino alla mia posizione al momento della ricerca.
Ti dirò una cosa: è più di qualche anno che ho scelto di “ignorare” le query con un Search Intent di questo tipo quando lavoro su ecommerce che non hanno una sede fisica. Se io vedo soltanto online, perché dovrei sporcare il mio traffico cercando di accaparrarmi utenti che non vogliono esclusivamente ecommerce?
Prova a cercare “negozio di mobili online” e capirai cosa intendo. Chiaro, rinuncio esplicitamente di sacrificare una parte del traffico. Come puoi immaginare facilmente, “negozio di mobili” fa molte più ricerche di “negozio di mobili online”.
Tuttavia, ragionare in termini di puro numero non ha più senso. Quello che mi interessa è raggiungere gli utenti che cercano quello che io posso offrire. Per aumentare il traffico in target, per fornire assist ai miei colleghi che fanno advertising e hanno bisogno di pubblico elevato per le loro campagne, per aumentare – nei limiti del possibile – la possibilità che l’utente atterrato nelle mie pagine sia davvero intenzionato a scegliere me.
A cosa serve l’analisi degli obiettivi?
Molto semplice: a strutturare l’architettura dei contenuti.
Ti spiego come. Immagina di partire dalla mappa che abbiamo già visto nel post in cui parlavamo di keyword research, che ti ricondivido qui sotto.
Per ora ignora i colori (ci concentreremo su di loro nel prossimo paragrafo). Quello che ti serve capire, in questa prima fase di analisi delle intenzioni di ricerca, è se le query che hai trovato in fase di ricerca rientrino in un’intenzione informativa, transazionale, navigazionale o local.
Suddividerle correttamente ti permette di creare una struttura SEO dei tuoi contenuti in grado di intercettare l’utente nelle varie fasi del suo percorso di acquisto. Come ti dicevo nella guida introduttiva sulla SEO, attraverso i motori di ricerca oggi possiamo farci trovare dagli utenti in quasi tutti gli step della domanda consapevole. Che siano in una fase di raccolta informazioni o di valutazione (le due fasi centrali del messy middle teorizzato da Google), abbiamo modo di fornire risposte a qualsiasi domanda.
Dividere i contenuti secondo la tipologia di risposta richiesta dall’utente (informazione, vendita, locale, legata a un Brand), ti permette di generare due cose importantissime:
- da un lato la struttura di navigazione del sito in tassonomie (grazie anche all’applicazione delle Breadcrumbs);
- dall’altro la gestione dell’internal linking, sia verticale (link interni fra contenuti informativi), che trasversale (link interni fra contenuti informativi e transazionali, e viceversa).
L’output di questa parte di analisi è quella di spezzare la mappa principale che hai costruito in differenti mappe: una che copra i punti di accesso al sito legati alla conversione, una che copra i punti di accesso informativi, una che copra (se ne hai) punti di accesso local.
Questi forniranno la sovrastruttura del tuo sito, che andrà poi piano piano ulteriormente frammentata per creare le sottocategorie che comporranno la tua architettura delle informazioni.
Fase 2. Valutare la comunione o la separazione delle query
La prima fase di analisi del Search Intent osserva quindi le query che hai trovato “dall’alto”. L’obiettivo è la suddivisione dei termini in macro intenzioni di ricerca: informativo, transazionale, locale e navigazionale.
Beh, questa è soltanto la prima fase. Ti ritroverai nella condizione di avere comunque delle mappe molto, molto voluminose. Tante parole chiave, alcune simili fra loro, altre palesemente differenti, da mettere in relazione fra loro in qualche modo più specifico.
Valutare la comunione o la separazione di query per intent significa molto semplicemente capire se due o più parole chiave vanno utilizzate per produrre un contenuto o se ne vanno previsti differenti. Chiaro e semplice.
Come farlo? Semplicemente comparando le SERP generate dalle query:
- apri due finestre in anonimo sul browser;
- nella prima finestra cerca la prima parola chiave;
- nella seconda finestra cerca la seconda parola chiave;
- confronta quanti risultati, a livello di URL specifica e non soltanto di dominio, siano uguali.
Importante: considera i risultati uguali se è la stessa pagina a ricorrere nelle due SERP. Se è lo stesso sito, ma con pagine differenti, considera quei risultati come diversi.
Nulla più, nulla meno. Facciamo un esempio pratico per consolidare il concetto, tornando alla mappa di keyword research già presa in considerazione in precedenza. Stavolta ci concentreremo proprio sui colori che poco fa ti ho invitato a ignorare.
Laddove trovi colori uguali (e bordi uguali, in questo caso, perché le query erano davvero troppe e i colori da soli non mi erano sufficienti!), vuol dire che quelle query possono essere utilizzate per ottimizzare un unico contenuto.
Di contro, laddove trovi due colori differenti, significa che le query hanno Search Intent differente e, di conseguenza, devono essere utilizzate per l’ottimizzazione di contenuti differenti.
Prendiamo a riferimento “cibo per gatti anziani” e “cibo per gatti senior”.
Come puoi vedere dall’immagine sovrastante, i risultati sono praticamente identici. Non soltanto nelle due SERP troviamo gli stessi URL, ma in questo caso addirittura il ranking coincide. Bene: le due query devono essere utilizzate nello stesso contenuto.
Cosa succede se comparo “cibo per gatti anziani” e “cibo per gatti anziani inappetenti”?
Come puoi vedere dall’immagine, le SERP sono prettamente diverse. L’unico risultato veramente in comune è quello del sito “Robinson Pet Shop”, per cui lo stesso contenuto è indicizzato e ranka per entrambe le query.
Qui teoricamente puoi scegliere:
- le separi destinandole a due contenuti differenti, considerando quanti pochi sono i risultati in comune;
- le unisci, cercando di emulare il risultato presente in entrambe le SERP.
Personalmente, in un caso così netto come quello appena visto, preferisco di norma la prima soluzione: separare e ritenere che effettivamente non tutti i padroni di gatti anziani sono contestualmente padroni di gatti anziani inappetenti. Quindi, il Search Intent dovrebbe effettivamente essere differente.
La seconda opzione, in questo caso, è molto più al limite. Per emulare il posizionamento di “Robinson Pet Shop” dovrei, a questo punto, studiarlo bene e valutare:
- se copre accuratamente tanti altri Intent, oltre a “anziani” e “inappetenti”, che lo rendono talmente rilevante da posizionarsi fondamentalmente per tanti concetti differenti;
- se quel contenuto, o in generale il dominio, è molto autorevole. E, quando intendo autorevole, intendo essere citato (con link) o menzionato (senza link) da numerosi siti terzi;
- se il Brand è molto autorevole in generale;
- se tutte le tre opzioni di sopra sono valide.
Queste sono soltanto alcuni spunti di riflessione da tenere a mente. Un’altra riflessione da fare è quello sullo stato della SERP, soprattutto nei casi di SERP ibride.
Cosa sono le SERP ibride?
In realtà ne abbiamo già parlato sopra, quando ho fatto l’esempio di SERP con molteplici intenzioni di ricerca al loro interno (informativo e transazionale).
Una SERP ibrida è una pagina dei risultati di ricerca che non ha un’indicazione così netta sul tipo di contenuto da utilizzare per conquistarla. Né fornisce spunti conclusivi per capire se due o più query possono essere accomunate o meno.
La maggior parte delle volte in cui mi è capitata di trovarla è, ad esempio, quando da una keyword molto generica iniziano a separarsi delle query più specifiche. Man mano che Google comprende che gli utenti che utilizzano la query specifica hanno una maggiore conoscenza dell’argomento e vogliono un’informazione più specifica, le SERP iniziano a differenziarsi. Nella SERP della keyword generica rimangono i risultati generici; nella SERP della query specifica i risultati generici iniziano via via a scomparire, lasciando spazio a risultati più specifici.
Una riprova di questa puoi trovarla verificando i volumi di ricerca delle due query. In questi casi, generalmente la query specifica ha un trend di crescita, mentre la keyword generica rimane tendenzialmente invariata.
Cosa fare in questi casi? Non c’è una risposta ben specifica: il tutto dipende molto dall’analisi dei singoli casi.
Ad esempio:
- se ti trovi davanti a un topic che pensi stia per esplodere, puoi provare ad anticipare i tempi e occupare uno spazio nella “nuova” SERP specifica che si sta sviluppando. Diciamo che, se nella SERP specifica hai 5 risultati specifici e 5 generali, puoi provare a seguire questa strada.
- in caso contrario, puoi utilizzare entrambi i concetti nella pagina generica (o continuare a farlo se sei già online con un contenuto che ranka per entrambe), e tenere sotto controllo la situazione. Quando vedi che le SERP si separano in maniera netta (per capirci, come nel caso 1), sganci la query specifica con parte del contenuto originario in un nuovo contenuto, e colleghi il contenuto vecchio e il nuovo con i link interni.
Ripeto: sono esempi indicativi. In questo caso subentrano un’infinità di altri fattori, come l’autorevolezza, l’anzianità, la gestione complessiva dei contenuti e via dicendo.
Sappi soltanto che la situazione non è sempre netta come ti sto mostrando in questo contenuto, che ha fini puramente didattici. Nella maggior parte dei casi dovrai prendere la regola e analizzare la realtà delle SERP per trovare la strada da seguire che reputi migliori per il tuo caso.
A cosa serve comprendere se le query vanno accomunate o scisse?
Credo tu abbia già capito perché fare questo tipo di analisi: per ottimizzare i singoli contenuti nel miglior modo possibile.
Suddividere o accorpare le parole chiave che hai trovato ha due output importantissimi:
- evitare le cannibalizzazioni. Se due query devono essere trattate in un unico contenuto, e tu ne crei due distinti, c’è un altissimo rischio che queste vadano in competizione fra loro e non vengano visualizzate nei motori di ricerca. É quello che si chiama cannibalizzazione di keyword;
- sfruttare al massimo le opportunità. Se riesci a circoscrivere un set di query che condivide il Search Intent, massimizzi le tue possibilità che il contenuto sia indicizzato per tutte le query che hai mirato, e che si posizioni per un numero elevato di parole chiave. Questo significa sfruttare tante fonti di traffico differente e, potenzialmente, raggiungere più facilmente l’obiettivo che ti sei prefissato.
In questa parte di analisi il mio consiglio per te è questo: non dare nulla per scontato. So che è un lavoro lungo e meticoloso, e so che spesso il tempo concesso per gestire un progetto SEO non è tanto quanto vorremmo. Come sono consapevole che il cliente spesso fatichi a comprendere i benefici di un lavoro di analisi fatto bene e voglia vedere il prima possibili operazioni tangibili.
É un momento complesso per il lavoro. Gli unici due consigli che mi sento di darti sono:
- lavora sul tuo cliente, per rendere consapevole di come funziona il nostro lavoro e dei rischi/benefici che avrà permettendoti o non permettendoti di svolgere alcune attività;
- dividi il lavoro fra obiettivi a lungo termine e obiettivi con risvolti immediati. Laddove possibile, se ti accorgi che puoi avere un risultato in termini di posizionamento accettabile con poco lavoro, dedica un po’ di tempo a questo, per tranquillizzare il cliente e farli vedere che sai cosa stai facendo. Personalmente, ricorro a questa soluzione soltanto se il cliente si mostra particolarmente impermeabile alla comprensione del mio lavoro.
Keyword, query, long tail: riconoscere il grado di consapevolezza
Dulcis in fundo: come fare a capire, soltanto con la SEO, quando un utente è più vicino alla fine del suo viaggio online?
Il mio metodo di analisi in questo caso è molto semplice.
Innanzitutto, ho virtualmente deciso di suddividere le parole chiave in 3 tipologie: keyword, query e long tail. É una divisione che non credo altri SEO utilizzino, e non vuole avere la pretesa di essere “scientifica”, ma ammetto che mi aiuta mentalmente a fare ordine.
Keyword
Una keyword è una parola chiave estremamente generica, che ha in sé poco o nessun contesto. Un esempio di keyword può essere tanto una parola singola (“roma”, “seo”…), quanto un’accoppiata di parole (“scarpe eleganti”).
Prova ad aprire la SERP generata dalla keyword “roma”. Ti accorgerai che dentro si parla di sport, turismo, news, archeologia, viaggi. Ci sono talmente tante intenzioni di ricerca che risultare il più autorevole anche solo per una di esse può risultare letteralmente impossibile.
Se volessi rankare per il Search Intent di “roma” legato al turismo, dovresti essere più autorevole del sito istituzionale del turismo di Roma.
Se volessi rankare per il Search Intent informativo, dovrei essere migliore del Knowledge Graph (o riuscire ad entrarci).
Se volessi posizionarmi per il Search Intent legato allo sport (al calcio, per l’esattezza), dovrei essere più forte del sito dell’A.S. Roma.
Capisci dove voglio andare a parare? Anche ammesso che uno dei Search Intent di questa pagina sia in linea con i tuoi obiettivi, quanto ha senso sperare di riuscire a superare questi competitor?
Query
Qui il “gioco” si fa molto più interessante: una query è niente meno dell’unione di due o più keyword, che danno luogo ad una parola chiave che assume un contesto più o meno definito.
La query è la tua arma numero uno, quella su cui a mio parere dovresti puntare a livello strategico (come obiettivo di posizionamento) e operativo (come effort di ottimizzazione). Un esempio di query potrebbe essere “cosa vedere a Roma”, per usare un esempio informativo che mi è molto chiaro.
Come puoi vedere, qui l’intenzione di ricerca è piuttosto definita. Parliamo di utenti che vogliono avere informazioni per una eventuale visita a Roma.
Se guardi con attenzione, ci sono un po’ di termini che potrebbero suggerire un ulteriore approfondimento. Ad esempio classifiche (“10 cose da vedere”, “60 cose da fare” e simili) o la variante temporale (“2023”).
Quando trovi SERP di questo tipo, tieniti stretto le query e cerca di capire quale potrebbe essere il modo migliore di utilizzare.
Long tail
Il concetto di long tail non è nato con la SEO. É una teoria economica sviluppata nel 2004 dall’inglese Chris Anderson, che pone l’attenzione sul guadagno generato non soltanto dalla vendita dei prodotti “best seller”, ma anche dal ritorno economico di piccoli elementi differenti che, insieme, generano ugualmente introito.
Di fatto, semplificando moltissimo, la teoria della long tail punta a sfruttare la diversificazione: il guadagno non arriva soltanto dalla massimizzazione, ma anche dallo sfruttamento delle nicchie.
Nella SEO, questo concetto è cristallizzato nelle keyword o query long tail. Tradizionalmente identificate come parole chiave composte da molti termini, ma bassi volumi di ricerca, rappresentano generalmente la perfezione in termini di contestualizzazione dell’intento di ricerca.
Le query long tail hanno un Search Intent generalmente inequivocabile. Se le trovi, sfruttale e costruisci attorno del valore che gli utenti sicuramente apprezzeranno.
Un esempio è la long tail “cosa vedere a roma in 3 giorni”. Ancora più verticale della query precedente (“cosa vedere a roma).
L’immagine parla da sé. L’utente che aggiunge “in 3 giorni” a una query già abbastanza specifica dimostra un grado di consapevolezza quasi definitivo. Dico quasi perché, anche in questo caso, sembra proprio che il topic potrebbe essere arricchito. Hai notato “a piedi”, che ricorre in un paio di risultati? Chissà, magari ha lo stesso Search Intent 😉
Riepilogo e conclusioni
Ok, siamo ai saluti.
Abbiamo visto un sacco di cose in questo articolo e spero di averti fornito, se non delle vere e proprie tecniche, quanto meno degli spunti interessanti per capire cos’è il Search Intent e come utilizzarlo per definire la tua strategia SEO.
Al netto della mia definizione di intenzioni di ricerca e di quello che credo siano gli obiettivi di queste analisi, operativamente parlando puoi tenere a mente che:
- un primo livello di analisi del Search Intent consiste nel comprendere il macro-intento dietro le query che hai trovato: se sono informative, transazionali, navigazionali o local. Questo ti permette di intervenire a livello On Site, generando struttura, breadcrumbs, link interni e tutto ciò che serve per ordinare i contenuti del tuo sito;
- un secondo livello di analisi che pone l’attenzione su come usare le query a livello micro, nei contenuti che generi, per accorpare o dividere correttamente le query nei testi, evitando cannibalizzazioni, incrementando le opportunità e riducendo i rischi;
- un terzo livello di analisi, che si concentra sulla previsione di quanto l’utente sia vicino alla conclusione del suo viaggio. L’esempio su Roma dovrebbe aiutarti a comprendere come un utente che cerca la keyword “roma” è probabilmente lontanissimo dalla pianificazione di un viaggio, quello che cerca “cosa vedere a roma” è più vicino al raggiungimento dell’obiettivo, quello che cerca “cosa vedere a roma in 3 giorni” ha di certo un grado di consapevolezza maggiore. Questo livello di analisi ti serve per prioritizzare le tue attività e valutare quale abbia più possibilità di portare un risultato concreto.
E ricorda sempre: queste sono indicazioni di massima. Analizza sempre quello che stai facendo e permetti alle tue deduzioni di confermare quello che l’istinto ti ha suggerito.